Ivan Brentari
17/7/2019
CAMILLERI
Scrivere di qualcuno che se ne va è sempre difficile perché le assenze obbligano a guardarsi dentro.
Solo poche parole. In questi casi il limite equivale al rispetto.
Andrea Camilleri, di libri, ne ha scritti tanti. Dalla serie di Montalbano, ai gialli non seriali, a quelli che Simenon definiva i «romanzi-romanzi». Ha fuso in sé tre autori – Sciascia, Pirandello e appunto Simenon – senza eguagliarli (sarebbe stato ridicolo e impossibile), ma contemporaneamente superandoli e trovando una voce propria e originale.
Roberto Bolaño diceva che «stiamo tutti scrivendo lo stesso libro». Intendeva cioè che in letteratura esiste un filo rosso che collega le opere del passato con quelle del presente, tramite la lettura. Camilleri ha usato le eredità del passato – dai tragici all’hard boiled americano – per raccontare storie. I suoi libri sono stati cronaca del presente e narrativa vera, di quella che dirà qualcosa sull’Uomo anche ai lettori del 2100.
Credo che nell’educazione civica/civile degli italiani il Montalbano di Camilleri abbia fatto molto di più di molta (supposta) letteratura alta. Camilleri ha preso una figura rassicurante, l’ha contornata di personaggi gradevoli ma non piatti, e l’ha resa protagonista e spettatrice di un Paese di carta che cambiava così come stava cambiando il Paese reale. Ha usato quindi una convenzione, quella del commissario all’italiana, per approfondire storie e temi non convenzionali.
Ovvero quello che fa un autore popolare nel senso più alto del termine. Ovvero quello che fa un vero scrittore militante.
Ciao, grande Andrea.