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13/3/2018

DEL NOIR (SECONDO ME)

 

Fra tutti i generi letterari forse il noir è quello che più viene declinato arbitrariamente, tanto da diventare spesso un’etichetta bianca applicata su romanzi diversissimi, sino a perdere di significato.

   Io invece credo che il noir, o meglio, lo spirito noir, sia una manifestazione molto circoscritta. Che poi possa ibridarsi e fondersi felicemente con altri generi, è un altro paio di maniche.

 

   Detto questo, ci sono poche e precise caratteristiche tecniche che il noir deve avere, e che è necessario che si mantengano anche nelle ibridazioni. Secondo me.

   Se il libro le ha è un noir, se non le ha non lo è.

   1- Un linguaggio il più possibile diretto, che però non scada nel semplicismo e sia verosimile e adeguato alle situazioni. Il noir è un genere popolare (popolare non significa popolaresco). Ha diversi piani di lettura, ma una delle sue funzioni fondamentali è l’intrattenimento, il che non è assolutamente una diminutio. Nessuna concessione all’autocompiacimento. La masturbazione sta altrove.

   2- Un romanzo noir deve avere una trama articolata e il più possibile interconnessa. Personalmente, da lettore, è quello che richiedo a un romanziere noir, in cambio di quei 15-20 euro che consegno alla cassiera. Non voglio un plot accennato e un libro che tira alle 400 pagine a colpi di pipponi psicologici, rese espressioniste di contesti sociali e descrizioni manieriste. Devono succedere cose, tante, e l’intreccio deve sciogliersi solo nel finale. Il noir non rilassa e non prevede gratuità.

   3- Ci devono essere personaggi femminili con le palle. Il noir esplora il reale e nella realtà, quasi sempre, le donne tengono le redini di uomini e situazioni.

   4- L’ambientazione è prevalentemente urbana, possibilmente metropolitana. Le storie ambientate nei paesini vanno benissimo, ma sono semplici gialli, magari crudeli, con una forte connotazione psicologica, ma solo gialli. L’ambientazione periferica è funzionale a una semplificazione dei caratteri dei personaggi: serve a tratteggiarli in chiaroscuro e a inserirli in un contesto più intelligibile per agevolare il lettore meno sveglio, ma chiude una quantità di possibilità narrative e uccide nella culla qualsiasi trama più stratificata. Per non parlare della restrizione del campo sociale nel quale il protagonista può muoversi (vedi il prossimo punto).

   5- Descrizione verista di parti della società. Il detective è un cuneo che attraversa gli strati sociali e li osserva per quello che sono. Parla con lo spacciatore, con la signora ricca annoiata, con la ragazzina sfrontata, col povero vinto dalla vita e con l’uomo all’apice di un successo esibito. Questo dà spessore al romanzo, ma può portare, in presenza di autori modesti, a un moralismo vomitevole. Il che conduce dritto al punto numero 6.

   6- Il noir è essenzialmente un genere morale. Non moralista, perché la morale nera si esplicita attraverso l’azione e non attraverso il giudizio. Ma la morale che il protagonista incarna non può essere quella comune; il che significa che il lettore medio non deve identificarsi col detective. La morale comune dice: per fare il Bene devi fare il Giusto. Il noir dice: per fare il Bene devi fare l’Ingiusto. Fino al paradosso totale: per fare il Bene devi fare il Male.

   Ci sono personaggi di romanzi di successo che hanno la mogliettina, che vanno in chiesa la domenica, che sono simpatici, che hanno il battutone pronto, che non hanno dentro placche morali degne di nota che collidano e mandino tutto a puttane. No, fratelli, quello non è noir.

   Il protagonista di un romanzo noir è governato da un incrollabile, personalissimo e urticante senso etico, che lo porta a scontri dentro e fuori da sé. È disposto a fare quello che l’uomo medio non sarebbe disposto a fare. Vuole la Verità, ma in maniera non consequenziale. Forse non la vuole tutta. Forse vuole solo quella che gli fa male. Vuole l’Espiazione. Porterà il lettore dalla sua parte solo in virtù della sua ossessione febbrile e incrollabile per la sua giustizia. Un’ossessione contagiosa.

   Non vuole la tua comprensione o la tua partecipazione. Vuole averti.

   Ecco perché il protagonista di un vero romanzo noir non può essere un fedele servitore dello Stato. La presenza dello Stato pacifica l’uomo medio. Il protagonista del noir non è un uomo medio. In Italia la figura del detective privato non ha avuto la fortuna che ha avuto negli Stati Uniti; da noi il detective privato suona, appunto, come un’americanata. L’America nasce senza l’idea dello Stato, o perlomeno le uniche istituzioni parastatali che c’erano, quelle dei natives, sono state soffocate nel sangue. Così il mito del pioniere, dell’individuo solo contro le avversità, prende corpo nell’investigatore privato, che si muove in un mondo selvaggio e anomico. Praterie di crimine e canyons del vizio. Auuuuuh!

   L’Italia, sebbene unificatasi tardi rispetto agli altri stati europei, ha ricevuto un’impronta di Civil Law, e quindi di una presenza statale forte, prima dal diritto romanico e poi da quello napoleonico. Ne consegue che il vero noir italiano è figlio spesso di una mediazione per quanto riguarda la figura del protagonista. Servitore dello Stato, sì (o ni); fedele, no. L’investigatore fa parte di un corpo di polizia, ma utilizza il suo ruolo per appagare la propria morale obliqua, in spregio alle norme di comportamento prestabilite. È un corpo estraneo all’interno della polizia, quasi un batterio. E si muove per affermare sé stesso e il suo spessore etico, contro chiunque.

   Viviamo in un’epoca antieroica e buia. L’avevo scritto anche qui e poi su Affaritaliani, un po’ di tempo fa, parlando di tutt’altro. L’antieroe è il vero eroe moderno, quello che di solito più scava nel cuore dei lettori. E sicuramente nel mio, come scrittore e come fruitore di libri noir.

   Ecco, basta, la storia è più o meno questa.

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